San
Vito d’Altivole (TV), Tomba monumentale Brion 1969-78
“Una persona era morta, in Italia,
la famiglia voleva onorare il merito di un uomo venuto dal popolo, noi diciamo
dalla gavetta e che, col suo lavoro, era diventato una persona importante (…) A
me bastavano cento metri quadrati, invece sono duemila e duecento metri
quadrati. Però il proprietario deve ben costruire un muro di cinta! (…) Allora
ho fatto la cosa che avete visto. Ho deciso di mettere qui la tomba, i
sarcofagi, come si potrebbe dire. Per la tomba, il posto al gran sole, allora
qui: visione-panorama. L’uomo morto chiedeva di essere vicino alla terra, perché
è nato in questo paese. Allora io ho pensato di costruire un piccolo arco, che
chiamerò arcosolium (arcosolium è un termine latino dei primi
cristiani). Nelle catacombe, le persone importanti o i martiri venivano seppelliti
con una formula più costosa, si chiamava arcosolium:
non è altro che un semplice arco, così. E’ bello che due persone che si sono
amate in vita si pieghino l’una verso l’altra per salutarsi dopo la morte. Non
potevano essere dritti perché è la posizione dei soldati. Questo diventava
arco, diventava ponte: ponte in cemento armato, arco in cemento armato sarebbe
rimasto un ponte: per non avere questa sensazione di ponte bisognava decorarlo,
dipingerne la volta. Invece ho messo il mosaico, che è nella tradizione veneta,
interpretata a mio modo, che è un modo diverso. Il grande viale dei cipressi
che porta al cimitero è nella tradizione italiana: è un percorso. Gli
architetti sono pieni di percorso. Questo percorso è chiamato propilei, vuol
dire porta in greco, entrata, questo è il portico. Si comincia da qui: questi
due occhi sono la visione. Per questo il terreno era troppo grande, intanto è
diventato (…) prato. Per giustificare il grande spazio, ho pensato che sarebbe
stato utile un piccolo tempietto per fare funebre, funerale è una parola
orribile! Ancora troppo grande; allora abbiamo rialzato il terreno perché io
possa vedere fuori. Da qui posso veder fuori e da fuori non si può vedere
niente. E allora: tomba, familiari, parenti, tempietto, altare. Dal paese si
arriva per un ingresso speciale, la chiesa, il funerale, poi il cimitero del
paese la cappella: questa appartiene a tutti, il terreno è del demanio. La
famiglia ha soltanto il diritto di essere sepolta. Qui un percorso privato fino
a un piccolo padiglione sull’acqua, unica cosa privata.
Questo in sintesi, è tutto. Il
luogo dei morti ha il senso di un giardino: del resto i grandi cimiteri
americani del XIX secolo a Chicago sono dei grandi parchi. (…) Ho voluto però
rendere il senso naturale del concetto di acqua e prato, di acqua e terra: l’acqua
è sorgente di vita”. (tratto da P. Duboy, Scarpa/Matisse: cruciverba, in Carlo Scarpa. Opera completa, a cura di
F. Dal Co – G. Mazzariol, Milano 1984, pp. 170-171)